Germana Bedont, pittrice, vive e lavora a Como.


Biografia

Germana Bedont Germana Bedont
Bellunese, Germana Bedont lavora a Milano come perito chimico prima di trasferirsi a Como dove attualmente vive.
Da sempre appassionata d’arte, inizia a dipingere nel 2006.
Compie l’apprendistato nell’atelier della pittrice Pauline Kopestynska e successivamente approda all’Accademia Galli di Como, dove l’incontro con il maestro Pierantonio Verga segna la svolta. Inizia qui la sua avventura creativa.
Si delineano i temi che sente più vicini ed emerge l’interesse per i fiori, che non è facile ripiegamento verso un soggetto di tradizione. Tutt’altro. Sono un soggetto che le appartiene e permea i suoi ricordi fin dall’infanzia trascorsa in montagna. La pittrice traccia i suoi primi fiori senza accorgersene. Quasi in una sorta di trans. Lavora su tela, con l’olio. Non disegna, ma affronta direttamente la tela con il colore usato a secco. Clematidi selvatiche, tulipani, lillium, narcisi, le amate peonie, i cardi, ombrellifere, piante erbacee reperibili in boschi e prati freschi. Gli anemoni della nonna. Sono tutti fiori campestri, con proprietà officinali. Le orchidee le mettono soggezione, rivela.
Sono fiori sbocciati, nel pieno della loro apertura, raramente boccioli. Ingranditi. Inquadrati uno alla volta. Esibiti su uno sfondo neutro, si succedono come in un personale erbario.
L’occhio si pone a distanza ravvicinata per leggerne le forme, ma anche cercarne l’intimità: i movimenti inattesi delle corolle, la consistenza vaporosa, la sfrontatezza con cui si impongono in primo piano sono segnali di vita autonoma. I fiori sono esseri a tutti gli effetti, e si apre con loro un dialogo tra individui. E allora lo sguardo si addolcisce della propria visione, mossa anche dal ricordo. L’erbario si fa sentimentale.
Dentro la natura c’è qualche cosa che vive nello stesso modo in cui viviamo noi, ma anche in un altro. I fiori, quindi, sono sguardi aperti su un’altra dimensione.
Le grandi tele con i fiori di loto segnano un’evoluzione della pittura che abbandona i confini del figurativo e tende all’astrazione. I fiori che prima si stagliavano netti nello spazio, ora si perdono in esso, cercano la fusione. E lentamente si arriva fino alla loro dissoluzione. Le tele diventano più grandi e la pittrice mescola i colori e li sfuma fino ad ottenere morbide trasparenze ed effetti di consistenza luminosa.
Non si tratta più solo di dipingere oggetti caratterizzati dal colore. I fiori diventano creature di luce. Sono luce che si fa colore. E in questa dissoluzione si recupera anche il senso della loro origine effimera. I due aspetti della pianta che cura e del fiore che è oggetto misterioso e affascinante ma caduco si fondono, e prevale il piacere per ciò che è bello e dà gioia.


Elisabetta Mossinelli
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Germana Bedont

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